Basta un libro per riaccendere e far rivivere i ricordi di guerra di un bambino
La lettura del libro di Armando Foppiani , “Ubriacarsi con l’acqua”
Basta un libro per riaccendere e far rivivere i ricordi di guerra di un bambino
In cinque anni di guerra e di orrori le coscienze dei bambini subiscono traumi tremendi; da un mondo epico, basato sul coraggio, sull’eroismo, sul valore di un giuramento sono passati ad un mondo di inganni, di giuramenti violati, di ferocia, dove tutti si sono sentiti traditi e dove tutti volevano lottare per un unico ideale: l’onore dell’Italia.
La lettura del libro di Armando Foppiani , “Ubriacarsi con l’acqua”, dove l’autore manifesta la sua esperienza di vita vissuta durante la prima e la seconda guerra mondiale, mi ha riacceso i ricordi dei miei anni vissuti nel periodo 1940/ 1945, anni che trasformarono le mie certezze di gloria, di giustizia sociale, di civiltà in ecatombe di vite, di ingiustizie, di ferocia, tale da mutare le mie certezze, i miei ideali in cose barbare ed inumane.
Per poter capire i fatti bisogna analizzare le conseguenze lasciate dalla prima guerra che, seppur vinta, lasciarono nel paese una gran povertà con un inflazione che decurtava i salari. Da qui sfociò il biennio rosso (1919-1929) in cui si scatenarono una lunga serie di scioperi e di manifestazioni anche con le occupazioni di molte fabbriche. La situazione divenne tanto grave da far temere che sfociasse in una guerra civile visto anche l’allargarsi di questa protesta alla quale si erano uniti i contadini ed in particolare i braccianti del Centro-Nord.
In questo contesto gli agrari e gli industriali appoggiarono la nascita del fascismo che con la violenza delle sue milizie aveva portato l’organizzazione nelle fabbriche e nelle campagne ed aveva soffocato il movimento sindacale e le organizzazioni socialiste. Il nuovo regime fece approvare una riforma fiscale favorevole ai grossi capitali e una politica economica che permise agli industriali e agli agrari di aumentare i loro profitti a scapito dei salari degli operai.
Queste notizie non potevano essere alla portata di un bambino come me, plagiato dai continui comunicati fascisti trasmessi dagli auto parlanti delle scuole o dai vari motti che apparivamo sulle copertine dei quaderni scolastici e sui muri delle case; ricordo parecchi «Dio. Patria. Famiglia», «È l'aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende», «Roma ha dato la civiltà al mondo», «Vincere e vinceremo»,
«Credere, obbedire, combattere», «Il duce ha sempre ragione», «Libro e moschetto fascista perfetto». Tutto appariva giusto e perfetto.
Mi ricordo benissimo la “dichiarazione di guerra” presentata il 10 giugno da Mussolini agli italiani «Combattimenti di terra, di mare, dell'aria. Camicie nere della rivoluzione e delle legioni. Uomini e donne d'Italia, dell'Impero e del Regno d'Albania. Ascoltate! Un'ora, segnata dal destino, batte nel cielo della nostra patria. L'ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia.» Un urlo di giubilo si alzò dalla folla oceanica che presenziava al discorso; scesi di corsa le scale di casa e corsi a portare la notizia a mio padre, felice come felici erano le persone presenti sulla strada. Mio padre mi gelò con un «se n’acorśaràn gràmi fiö!» che mi lasciò sgomento. Purtroppo capii presto cosa intendesse: un giovanotto che scherzava sempre con me quando era nel negozio di mio padre, partì come ufficiale per il militare e poco dopo la notizia si sparse per Bobbio «Enrico Uccelli l’è môrt masè».
Ciò nonostante ero felice di partecipare alle adunate del “sabato fascista”, ero orgoglioso di indossare la camicia nera anche se una volta mi presi un calcio nel sedere per non aver indossato le scarpe nere. Le scarpe marroni erano però le uniche che avevo e per fortuna non mi punirono più, forse lo avevano capito.
Nei primi anni di guerra tutto scorreva nella normalità, i giornali riportavano cronache rimbombanti di vittorie tedesche; Mussolini ci rassicurava con i suoi «Vincere e vinceremo» e anche se ci arrivavano notizie di caduti per la Patria bobbiesi non riuscivo ancora a comprendere l’enorme tragedia a cui andavamo incontro. I sabati fascisti continuavano con mia grande divertimento.
Nell’aprile del 1941 invadiamo con la Germania e l’Ungheria, la Bulgaria; la Jugoslavia si arrende il 17 aprire. La Germania e la Bulgaria invadono la Grecia, in appoggio alla nostre truppe e la resistenza della Grecia termina all’inizio del giugno 1941.
Nel giugno 1941 la Germania Nazista e gli alleati dell’Asse (ad eccezione della Bulgaria) invadono l’Unione Sovietica. La Finlandia – mirando ad essere risarcita per le perdite territoriali subite a seguito della Campagna d’Inverno e del successivo armistizio – si allea con le forze dell’Asse alla vigilia dell’invasione. Nel corso di settembre, la Germania conquista rapidamente gli Stati Baltici e, con l’aiuto della Finlandia, stringe d'assedio Leningrado (oggi San Pietroburgo). Nella zona centrale, all’inizio d’Agosto i Tedeschi conquistano Smolensk e muovono su Mosca nel mese d’ottobre. Nella parte meridionale, truppe tedesche e romene conquistano Kiev (Kyiv) in settembre e Rostov, sul fiume Don, nel novembre successivo.
Il 6 Dicembre 1941 una controffensiva sovietica costringe i Tedeschi, giunti alla periferia di Mosca, a una caotica ritirata.
7 Dicembre 1941 il Giappone bombarda Pearl Harbor.
8 Dicembre 1941 gli Stati Uniti dichiarano guerra al Giappone, che entra ufficialmente in guerra. Le truppe Giapponesi sbarcano nelle Filippine, nell’Indocina Francese (Vietnam, Laos e Cambogia) e a Singapore, allora sotto il dominio Britannico. Alla fine del 1942, l’occupazione di Filippine, Indocina e Singapore da parte del Giappone è completata.
11-13 Dicembre 1941 la Germania Nazista e gli alleati dell’Asse dichiarano guerra agli Stati Uniti.
30 Maggio 1942 – Maggio 1945 gli Inglesi bombardano Colonia, portando la guerra sul suolo tedesco per la prima volta. Nel corso dei successivi tre anni, i bombardamenti anglo-americani riducono molte città tedesche a un ammasso di macerie.
Nel giugno 1942 la flotta inglese e la flotta americana fermano l’avanzata delle navi giapponesi nel Pacifico centrale, alle isole Midway.
28 Giugno 1942 – Settembre 1942 la Germania e i paesi dell’Asse lanciano una nuova offensiva in Unione Sovietica. A metà Settembre, le truppe tedesche riescono a penetrare a Stalingrado (oggi Volgograd) sul fiume Volga, penetrando poi profondamente nel Caucaso, dopo essersi assicurati anche la penisola di Crimea.
Agosto – Novembre 1942 a Guadalcanal, nelle isole Salomone, le truppe statunitensi fermano l’avanzata del Giappone verso l’Australia – avanzata che i Giapponesi avevano attuato occupando isola dopo isola.
23-24 Ottobre 1942 le truppe inglesi sconfiggono i Tedeschi e gli Italiani ad El Alamein, in Egitto, costringendo le forze dell’Asse a una caotica ritirata attraverso la Libia e spingendole fino al confine orientale con la Tunisia.
8 Novembre 1942 truppe inglesi e statunitensi sbarcano in diversi punti lungo le spiagge dell’Algeria e del Marocco, nell’Africa Settentrionale Francese. Le truppe francesi di Vichy falliscono nel tentativo di fermare l’invasione, permettendo agli Alleati di raggiungere rapidamente il confine occidentale con la Tunisia; in risposta a tale fallimento, i Tedeschi occupano anche la Francia meridionale, l’11 novembre.
23 Novembre 1942 – 2 Febbraio 1943 le truppe sovietiche contrattaccano e sfondano le linee degli eserciti ungherese e rumeno a nordovest e a sudovest di Stalingrado, intrappolando così la Sesta Armata tedesca all’interno della città. Fermati dagli ordini di Hitler, i sopravvissuti della Sesta Armata non possono né ritirarsi, né tentare di rompere l’accerchiamento dei Sovietici e vengono, infine, costretti alla resa tra il 30 gennaio e il 2 febbraio 1943.
13 Maggio 1943 le forze dell’Asse presenti in Tunisia si arrendono agli Alleati, ponendo così termine alla Campagna del Nord Africa.
10 Luglio1943 truppe inglesi e statunitensi sbarcano in Sicilia. A metà agosto, l’isola è sotto il controllo alleato.
5 Luglio 1943 i Tedeschi lanciano una massiccia offensiva di carri armati nei pressi di Kursk, in Unione Sovietica. In una settimana, i soldati dell’Armata Rossa fermano l’attacco e danno inizio alla controffensiva.
25 Luglio 1943 il Gran Consiglio del Fascismo destituisce Benito Mussolini, incaricando il Maresciallo Pietro Badoglio di formare un nuovo governo.
8 Settembre 1943 il governo Badoglio si arrende incondizionatamente agli Alleati. I Tedeschi assumono immediatamente il controllo di Roma e dell’Italia settentrionale e istituiscono uno stato fantoccio Fascista guidato da Mussolini, il quale era stato liberato il 12 settembre da un commando tedesco. Nacque così la Repubblica di Salò e già nel novembre dello stesso anno iniziò il reclutamento delle classi più giovani che unite ai reparti volontari sorti subito dopo l’8 settembre avrebbero dovuto costituire le avanguardie più animose delle forze combattenti. A capo dell’esercito Mussolini mise il Generale Rodolfo Graziani che occupò l’incarico di Ministro della Guerra nella costituita Repubblica Sociale Italiana fino al crollo finale del 1945.
L’8 settembre intanto causò, con l’armistizio firmato da Badoglio, una grande confusione nel nostro esercito che senza ordini precisi e per non rimanere in balia dell’esercito tedesco, si sbandò e molti soldati si diedero alla macchia andando così a rafforzare le formazioni partigiane.
Io allora avevo 8 anni, ero confuso da tutti questi avvenimenti e se da una parte capivo i militari italiani che fuggivano dalle caserme, dall’altra ammiravo il coraggio e la coerenza di quei ragazzi che aderirono alla Repubblica Sociale Italiana accettando l’arruolamento.
Capivo benissimo i primi perché si sono sentiti presi in giro dal regime che li aveva mandati allo sbaraglio con armi ormai superate risalenti alla 1a guerra mondiale e con un equipaggiamento inadeguato; Mussolini aveva bluffato credendo solo nella superiorità delle forza naziste. Un riconoscimento venne dagli alti comandi tedeschi,
quando si era ancora alleati, con una comunicazione in cui esprimevano questo giudizio «Gli italiani sono ottimi camerati e valorosi soldati, se avessero i nostri mezzi, potrebbero gareggiare con le nostre truppe. Ma la loro antiaerea risale alla guerra '15-'18, i fucili si chiamano "modello '91" perché risalgono al 1891 e i carri armati da 3 tonnellate sono semplicemente ridicoli. »
Durante la guerra noi ragazzi andavamo nella casa del fascio a sentire i bollettini “esaltanti” delle nostre vittorie militari, di sera però io sentivo con mio padre Radio Londra da una piccola trasmittente che tenevamo nascosta in un comodino; fu un supporto importante perché ci forniva notizie veritiere sul reale andamento del conflitto. Nel 1943, questa Radio, incominciò anche a tramettere messaggi misteriosi, in codice, come “La gallina ha fatto l’uovo”, “La mucca non dà latte”, “Le scarpe mi stanno strette”, “Felice non è felice” indirizzati alle formazioni partigiane dove venivano indicati spostamenti di unità, operazioni belliche, lanci di vivere e di armi.
A mio avviso, con le sue notizie sempre precise e veritiere, servì anche a far capire agli italiani le falsità e le nefandezze del regime fascista.
Servì anche al sottoscritto perché mi aprì gli occhi anche su certi fatti passati. Ad esempio se la raccolta del rame, del ferro, fatta nel 1940, riuscivo a capirla, perché serviva a raccogliere materiale per forgiare i nostri cannoni e le altre armi, non capivo invece la raccolta delle “vere nuziali” fatta nel 1936; l’oro lo avrebbero dovuto pretendere da coloro che apparecchiavano tavole lussuose con piatti e posate di quel metallo. Questo fatto lo ricordo perché l’anello nuziale che mia madre aveva donato alla Patria era l’unico gioiello della mia famiglia.
Dopo l’8 settembre gli avvenimenti che seguirono furono di una ferocia inaudita, tutti contro tutti: l’esercito tedesco, si venne a trovare all’improvviso in un territorio ostile, pieno di insidie, attacchi e attentati lo portarono a difendersi con ritorsioni vendicative verso i civili. La legge di guerra prevedeva che per ogni morte tedesca doveva corrispondere la fucilazione di dieci morti italiani. Di stragi ce ne furono tante, ma quella che mi restò impressa più di tutte è stata quella che portò alla fucilazione di 335 civili e militari italiani, trucidati a Roma il 24 marzo 1944; la causa fu un attentato portato a termine da 12 partigiani contro l’esercito tedesco che causò la morte di 33 soldati.
Questo eccidio poteva essere evitato se i 12 attentatori si fossero consegnati al comando tedesco, ma purtroppo non tutti sono eroi come eroe seppe essere il carabiniere Salvo D’Acquisto che per salvare un gruppo di civili, il 23 marzo 1943, si offerse come capro espiatorio: durante un rastrellamento una bomba aveva ucciso 2 soldati tedeschi e ferito altri.
Una strage che mi sconvolse per il numero di morti fu quella di Marzabotto o più correttamente eccidio di Monte Sole, fu un insieme di atti criminali di una crudeltà inaudita compiuti nel territorio dei comuni di Marzabotto, Grizzana Morandi e Monzuno, avvenuti durante l’estate e l’autunno 1944 che causò complessivamente la morte di 955 persone compresi vecchi, donne e bambini.
Questa guerra non risparmiò proprio nessuno: un bambino non concepisce la crudeltà, i tradimenti, i voltafaccia. Gli ideali cavallereschi, l’onestà morale non dovrebbero mai essere dimenticati anche quando ci si ammazza.
In cinque anni di guerra e di orrori le coscienze dei bambini subiscono traumi tremendi; da un mondo epico, basato sul coraggio, sull’eroismo, sul valore di un giuramento sono passati ad un mondo di inganni, di giuramenti violati, di ferocia, dove tutti si sono sentiti traditi e dove tutti volevano lottare per un unico ideale: l’onore dell’Italia.
In tutto questo periodo ho vissuto momenti di paura per i miei genitori, momenti di paura per un mio cugino Dante fatto prigioniero in Russia, momenti di paura per gli altri cugini che si sono uniti ai partigiani: come fanno presto a cambiare i sentimenti e le idee quando sono implicati i tuoi cari!
Uno di questi miei cugini fuggito con i partigiani fu denunciato da suo padre, federale e convinto fascista, solo io, bambino, riuscivo a scusarlo, mentre la moglie non lo perdonò mai di questo gesto, nemmeno a guerra finita: quel padre denunciò il figlio per l’idea in cui credeva e per coerenza.
Premetto che io, come molti altri bambini di Bobbio, eravamo diventati veri esperti di polvere da sparo, di cartucce e diciamo anche di armi. Eravamo talmente esperti da riuscire a costruire rudimentali rivoltelle, usando un legno ricurvo sul quale veniva legato un bossolo di mitragliatrice dal quale veniva tolta la capsula di percussione; il buco lasciato dalla capsula serviva per inserirci una miccia di accensione che sarebbe servita a dar fuoco alle polveri che avrebbero sparato la pallottola. Funzionava, anche se qualcuno, meno attento, ci rimise qualche dito, talmente esperti tanto da conoscere gli effetti che poteva causare se ingoiata: infatti avevamo imparato che bastava mangiare due rombetti di polvere che si trovava nelle cartucce del fucile 91(0) in dotazione al nostro esercito, per farci venire immediatamente un febbrone da cavallo. Ma con la polvere da sparo abbiamo rischiato anche molto, come quando io, Malli e suo fratello Genio ci eravamo messi in testa di fare una girandola luminosa; trovata una pallottola di mitragliatrice sparata da un aereo, ne estrassi la polvere e dopo averla arrotolata in una pagina di quaderno la misi su un supporto di fil di ferro con la speranza che una volta accesa da un parte si mettesse a girare: il risultato? Un gran fiammata che ci fece rimanere abbagliati per parecchi minuti.
Il materiale bellico era sempre a portata di mano, io me lo procuravo raccogliendolo in un lago della Trebbia. Il ponte di Barberino era stato bombardato e quindi per poter passare il fiume era stata costruita una passerella in legno. Una volta un camion di una colonna militare tedesca si rovesciò perdendo parte del sui carico: erano bombe a mano tedesche, e alcune casse di munizioni. Insomma ognuno sapeva a chi rivolgersi per procurarsene. La bomba più ricercata era una italiane la SRCM Mod.35, era pericolosa, ma meno devastante. Noi ragazzi, le bombe le usavamo per pescare nei laghi della Trebbia, ovviamente quando non c’erano tedeschi o miliziani. La mia preferita era una bomba a mano tedesca con un manico di legno che sulla cima portava la sicura, bastava tirarla e lanciare la bomba per farla scoppiare.
L’arrivo dei tedeschi a Bobbio portava sempre un fuggi fuggi tra le gente; appena avveniva annunciato l’arrivo di qualche colonna tedesca, temendo sempre possibili rappresaglie, i bobbiesi fuggivano sulle vicine colline; mi ricordo una volta che una signora che abitava nel “borgo”(1)era fuggita portandosi dietro 4 oche; eravamo arrivati in cima alla salita dell’Erta quando all’improvviso, come si fossero accordate, esse spiccarono il volo e ritornarono a casa, con grande sorpresa di noi tutti.
Quando fuggivamo ci si fermava intorno a Bobbio, disperdendosi nei vari casolari della campagna; utili erano anche i fienili, e lì restavamo ad osservare gli eventi: molte volte le case venivano date alle fiamme per ritorsione. Se nulla accadeva, alla spicciolata, si ritornava alle proprie case. Mi ricordo una volta che fuggiti frettolosamente, come sempre accadeva, mio padre si ricordò che in un cassetto del negozio, si era dimenticato un caricatore di “sten”(2) e una fotografia di un gruppo di partigiani; la cosa si presentava molto grave, tanto che incaricò mia mamma e il sottoscritto di tornare a Bobbio a vedere se il negozio fosse stato aperto: in questo caso saremmo dovuti ritornare di corsa sui monti; così facemmo e visto il negozio ancora chiuso io e mia mamma entrammo a prelevare questi pericolosi oggetti; la fotografia la bruciò subito, mentre il caricatore se lo mise in seno per eliminarlo gettandolo nel gabinetto di casa.
Ci incamminammo quindi verso la nostra abitazione che era poco lontano e nella stessa via del negozio, tra un folto gruppo di militari tedeschi armati e arrivati sul portone di ingresso capimmo subito che la nostra casa era stata occupata; ci facemmo coraggio ed entrammo. Mia mamma, tenendomi per mano, spiegò la nostra presenza ad un ufficiale che si scusò della loro occupazione e garantendoci di lasciare la casa libera al nostro ritorno, anzi rassicurandoci che nulla sarebbe successo a Bobbio; mia mamma chiese di poter andare in bagno e fu subito accontentata, con mio grande sollievo; io mi avvicinai alle bombe a mano che vedevo per terra quale possibilità di difesa in caso gli eventi si sviluppassero a nostro sfavore. Tutto andò nei migliori dei modi, anzi nel momento di congedarci l’ufficiale ci regalò un bel pezzo di grana: sapemmo poi che quel formaggio apparteneva al nostro vicino di casa che lo teneva nascosto sotto il letto.
LA REPUBBLICA DI BOBBIO
Radio Londra annunciò «Bobbio, la prima città del Nord Italia è liberata».
Dopo la liberazione dei partigiani nasce la repubblica che liberatasi dall’occupazione nazifascista si diede un suo governo e il 1° agosto si elegge come sindaco-Commissario il prof. Bruno Pasquali e come Vice il dott. Mario Reposi. I primi provvedimenti presi furono quelli di definire un nuovo assetto amministrativo, da parte dello stesso comando partigiano; per amministrare la "Repubblica" vennero scelti abitanti del luogo non compromessi col regime fascista e che, allo stesso tempo, riscuotessero la stima del resto della popolazione.
Questi si occuparono poi del problema delle requisizioni e della politica alimentare in generale: si decretò un prezzo d'ammasso del grano superiore a quello della RSI, un calmiere sul pane di £. 5 al chilogrammo, la distribuzione di frumento o farina alle famiglie più indigenti, i permessi di macellazione e venne creato un listino prezzi per la carne, il latte, ecc. La "Repubblica" era logisticamente indipendente dal punto di vista alimentare, sanitario e militare. A Bobbio funzionava anche un efficientissimo ospedale sia per i partigiani che per la popolazione e una officina per la riparazione delle armi. Sono presenti anche due tipografie dove si stampano i fogli partigiani Il Grido del Popolo, della Divisione GL Piacenza di Fausto Cossu, Il Partigiano, della divisione garibaldina “Cichero” del comandante Aldo Castaldi “Bisagno" (Garibaldini liguri) e di quella dell'Oltrepò pavese (“Il Garibaldino”).
In questo breve periodo noi ragazzi ci sentivamo anche più liberi di effettuare i nostri giochi “bellici”, si poteva andare a pescare nei laghi usando le bombe a mano: la pesca era sempre abbondante. Anch’io volli usare le mie armi ed andando a Barbarino da mio cugino Giacomo, un ragazzi di 16 anni, ci recammo nella nostra polveriera personale: sapevamo che in fondo al lago avremmo trovato due bellissime, luccicanti, tonde bombe anticarro tedesche; nascoste in uno zaino me le portai a casa e le nascosi nella mia cantina, sotto le fascine. Il giorno dopo all’imbrunire decisi di andare a pescare con queste due bombe nel lago sotto il ponte Gobbo, percorsi tutto il ponte, presi la prima bomba, strappai le sicura e la lanciai …. non successe niente, deluso presi l’altra bomba e la lanciai nuovamente nel lago sottostante, sentii tremare l’arcata del ponte e una colonna d’acqua si alzò sopra la mia testa; dalla paura non guadai nemmeno il fiume e me la diedi a gambe levate e per fuggire alla curiosità della gente che si stava radunando in “pôrta Gàsa”, per ritornare a casa feci il giro dei “due ponti”.
La Repubblica di Bobbio durò dal 1 agosto 27 per giorni se la consideriamo fondata dalla nomina del commissario.
I MONGOLI A BOBBIO
Il 27 agosto 1944, dopo la battaglia del Penice, la colonna nazifascista occupa Bobbio dove interrompe così il governo dell’autoproclamata Repubblica che ebbe la durata di soli 52 giorni, dal 7 luglio al 27 agosto. Questa colonna era composta dalla Divisione Turkestan, ben armata ed equipaggiata anche con armi pesanti, ma quello che impressionava noi ragazzi erano i cavalli da tiro che usavano: erano altissimi, mastodontici. La colonna mongola era stata preceduta dalla fama di atti violenti specialmente contro le donne, di razzie di animali e ruberie varie. Di questi soldati mi ricordo i loro visi strani, i diversi lineamenti, direi brutti da vedere, il ché peggiorava la paura che noi avevamo di loro. Ricordo come venivano ammazzate le oche prima di spiumarle: appoggiavano il collo su di un ceppo e le decapitavano con una baionetta. Un altro fatto di ruberia successe a una donna di Piancasale: la signora scesa al mercato del sabato, sulla piazzetta di S. Lorenzo vide alcune pecore che erano state rubate; una di queste, belando le si avvicinò, fu subito riconosciuta dalla padrona che corse a denunciare il fatto ai carabinieri che andando sul posto dissero alla donna di chiamare la povera pecora che subito usci dal gruppo avvicinandosi alla proprietaria.
PIPPO o ORFANELLO
Pippo era il nome con cui venivano popolarmente chiamati, nelle fasi finali della seconda guerra mondiale, gli aerei da caccia notturna che compivano solitarie incursioni nel nord Italia. Noi pensavamo che fossero aerei di ricognizione tedeschi che giravano per far rispettare l’oscuramento(3), cioè l’ordine di non far uscire la luce all’esterno delle abitazioni. Questo per nascondere possibili obiettivi ai bombardieri nemici: infatti in casa di sera dovevamo mettere una coperta alle finestre dove tenevamo la luce accesa; anche le strade cittadine non avevano illuminazione ed era quindi difficile uscire di notte sia perché esisteva il coprifuoco e sia perché si rischiava, come in effetti era successo, di andare a sbattere la fronte contro qualche pilastro.
All’imbrunire si tendeva l’orecchio per sentire l’arrivo di questo aereo, era un rumore ormai talmente noto da riconoscerlo immediatamente, mi ricordo che al suo passaggio tenevo il respiro fino a quando lo sentivo allontanarsi. Un brutto giorno, era il 21 agosto del 1944, ci giunse la notizia che Vesimo, un piccolo paesino delle nostre montagne, era stato bombardato da questo aereo. Era la festa del patrono, San Bernardo: i giovani del paese all'imbrunire si erano riuniti in uno spiazzo ai margini del paese. Le luci a carburo illuminavano la “balera” e quando giunse il rumore dei motori del bombardiere non ci fu più tempo per fuggire, le bombe caddero precise e 32 giovani persero la vita: in paese due morti per famiglia. Solamente, a fine guerra venimmo a sapere che l’aereo era inglese. Era DH.98 Moschito (zanzara in inglese), un monoplano e bimotore realizzato dall'azienda britannica de Havilland Aircraft Company sul finire degli anni trenta.
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GLI ULTIMI MESI DI GUERRA
Settembre-ottobre 1944: il Movimento di Liberazione riprende vigore e ricominciano le azioni di disturbo ai danni degli occupanti. Mi ricordo che i partigiani appostati sulle alture dell’Erta si divertivano a sparare sul castello di Bobbio dove si era sistemato il comando nazifascista. I bobbiesi, ormai abituati a questi attacchi da lontano, camminavano imperterriti per le vie del paese: si sentivano gli spari, che noi ragazzi chiamavamo “tac-pum”, così era il suono.
22 ottobre 1944: seconda liberazione di Bobbio, che viene nuovamente liberata da un battaglione formato, in preponderanza, da ex alpini della “Monterosa” passati tra le file partigiane; si ricostituisce così la “zona libera” del luglio-agosto con in più la località di Varzi. A proposito della “Monterosa” aveva un deposito di coperte e vestiario in via Garibaldi, di fronte al negozio di mio padre; molti di questi alpini erano clienti del nostro negozio. Mi ricordo che mio padre mi spiegava che molti di essi, per fuggire con i partigiani e non rischiare di essere dichiarati disertori, si facevano fare prigionieri quando andavano a ritirare la farina dal mugnaio di San Martino. Molti fuggirono in questo modo.
Il 23 novembre 1944 si ha un ennesimo rastrellamento da parte dei tedeschi che si concluderà solo nel gennaio 1945 e il 28 novembre 1944 Bobbio viene rioccupata dai tedeschi, ma nel gennaio le forze nazifasciste lasciano la zona in mano a pochi presidi fascisti.
Il 30 novembre 1944 venni a sapere da mio padre che l’indomani i partigiani avrebbero attaccato Bobbio: contattai subito i miei amici, Pietrino e Malli (4), per decidere il da farsi visto che il giorno dopo sarebbe stato pericoloso uscire e, dopo una lunga discussione, visto che i partigiani avrebbero attaccato dalla Trebbia, abbiamo deciso di andare sul greto per erigere delle piccole trincee di sassi; così facemmo, pensando che sarebbero servite. Il giorno dopo Bobbio fu attaccata, ma purtroppo l’attacco fu respinto e i partigiani lasciarono sul campo un morto e altri due feriti che vennero portati a Brugnello dove morirono poco dopo.
Il 4 marzo 1945 i partigiani attaccarono i fascisti e liberarono per la terza e ultima volta Bobbio. Si sentiva ormai la vicinanza della fine della guerra
Il 7 marzo 1945 le truppe americane attraversarono il Reno e il 16 aprile i sovietici lanciano l’offensiva finale su Berlino
Il 30 aprile 1945 Hitler si sucida e il 9 maggio la Germania si arrese ai sovietici.
Il 6 agosto 1945 Gli Stati Uniti sganciarono la prima bomba atomica su Hiroshima.
Il 14 agosto, il Giappone si arrese formalmente anche se solo il 2 settembre firmò la resa incondizionata, ponendo così fine alla Seconda Guerra Mondiale.
Le conseguenze della guerra si leggono sul monumento ai caduti: 25 morti e 16 dispersi, oltre ai tantissimi invalidi, purtroppo non segnalati.
NOTE
0 Il Carcano Mod. 91 è stato un fucile a otturatore girevole-scorrevole adottato dal Regio Esercito italiano dal 1891 al 1945.
1 il borgo di Bobbio si estende fuori dalle mura lungo il fiume.
2 Lo Sten è un mitra a canna corta, che è stata in passato in dotazione ad eserciti di molti paesi, con un caricatore laterale da 32 colpi e un elementare calcio in acciaio.
3 Il coprifuoco è un ordine imposto solitamente dalle autorità statali o militari a tutti i civili e a tutti coloro che non hanno un determinato permesso rilasciato dalle autorità, consistente nell'obbligo di restare nelle proprie abitazioni durante le ore notturne, eventualmente anche spegnendo ogni tipo di luce.
4 Pietro Mozzi e Mario Zerbarini
5 Armando Foppiani nasce a Bobbio allora in Provincia di Pavia oggi di Piacenza il 7 luglio 1900 e muore a Roma il 15 gennaio 1960. Compie studi liceali ed universitari a Pavia, ma nel 1924 si laurea fuoricorso in Giurisprudenza a Genova, perché deve abbandonare Bobbio dopo una rissa con fascisti locali favorevoli al trasferimento del Comune di Bobbio sotto Piacenza.
Quando termina la 1.Guerra Mondiale è A.U. A Torino all'Accademia di Artiglieria e Genio e il 15 novembre 1919 ottiene il congedo quale Sottotenente del Genio. Nel 1920 è Volontario in Albania fino al definitivo ritiro delle Truppe italiane del 28 luglio e dopo è di guarnigione a Trieste e Pola dove soccorre Legionari Fiumani in difficoltà quando il 24 dicembre le Truppe del regio Enrico Caviglia attaccano Fiume e durante il “Natale di sangue” dal quale D'Annunzio esce sconfitto.
Nel 1928 si iscrive al PNF ed, essendo stato gratificato del brevetto Legionario Fiumano, ottiene la qualifica di Squadrista. Nel 1929 trova occupazione nelle Officine Galileo di Campi Bisenzio (FI).
Il 26 luglio 1943 lo coglie nella sua abitazione fiorentina e considera la data “il giorno della viltà ufficiale”. Abbandona per il Veneto la città e il posto di lavoro dove è subito platealmente sottoposte a minacce alla pari di tutti i Dirigente. Torna a Firenze il 13 settembre 1943 dopo lo sfascio militare e a fine mese accetto l'offerta di Pavolini di dirigere la locale Unione Industriali e nel febbraio quella di Vice Commissario, con sede a Bergamo, della Confederazione Generale del Lavoro, della Tecnica e delle Arti – C.G.L.T.A. costituita con Decreto Legislativo n.853 del 20 dicembre 1943 su proposta del Segretario PFR, Decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale soltanto il 2 febbraio 1944 e poi modificato. La nomina resta sospesa per cinque mesi e poi ignorata. L'Ordinamento sindacale viene varato con Decreto n.3 del18 gennaio 1945 (G.U. n.21 del 26 gennaio 1945), in sostituzione del Commissario Ernesto Marchiandi, con la nomina di Enrico Margara e di due nuovi Vice Commissari. Ma intanto dal 27 luglio 1944 gli viene affidato il SAI e come il suo predecessore Marcello Vaccari è anche Delegato della Croce Rossa della RSI in Germania.
Nel suo libro UBRIACARSI CON L'ACQUA (1949) scrive "Ritenni che la miglior cosa da farsi fosse quella di intensificare al massimo l'assistenza e nello stesso tempo di spogliarla di ogni etichetta, fino a renderla anonima ...feci in modo che le mie visite ai campi di internamento passassero inosservate. Un Ufficiale Medico (dell'Università di Milano) mi scrisse una lettera di questo tenore: Ho appreso per caso il suo nome. Non le chiedo nulla, non mi dolgo di nulla, non spero in nulla. Lo invitai a scrivermi subito un'altra lettera per sfogarsi. Venne la risposta: Dopo un anno sento per la prima volta nella sua lettera la voce della Patria. Un mattino capitò in ufficio un Sottotenente degli Alpini a chiedere indumenti (lavorava con una dozzina di colleghi in una città della Germania centrale). Era ostile, rabbioso e non si curò affatto di nasconderlo. Lo tenni con me oltre un'ora; nel congedarsi salutò militarmente con un secco colpo di tacchi. Lo accompagnai in silenzio fino alla porta e lì, quasi senza accorgermene, gli passai una mano sulla guancia. Era la carezza dell'uomo maturo al ragazzo che fa i capricci (ma non seguì alcuna parola buona) ... Quindi gironi dopo ricevetti una lettera piena d'affetto ...mi ringraziava di avergli insegnato che talvolta gli uomini si vogliono male per paura di volersi bene."
Da “Fondazione RS Istituto Storico